Un viaggio commovente tra memoria e rinascita per i soldati dimenticati
La Seconda Guerra Mondiale lasciò cicatrici profonde, non solo nelle città e nelle campagne, ma anche nei cuori delle famiglie che attendevano notizie dei loro cari. Per molti, la speranza di una degna sepoltura per i propri congiunti caduti in battaglia rimaneva un desiderio inappagato. In questo scenario di dolore e incertezza, emerse una figura straordinaria: Raffaella Duelli, ausiliaria della Decima Mas, che nel 1947, insieme al marito, un veterano mutilato della stessa Decima e reduce della Battaglia di Tarnova, intraprese una missione commovente e straziante: riesumare e dare degna sepoltura ai caduti italiani nella Pianura Pontina.

La Pianura Pontina del 1947 era un luogo profondamente segnato dalla guerra, ma che iniziava a rinascere. I casolari, danneggiati o distrutti, venivano riadattati o ricostruiti, e nei campi il lavoro dei contadini e il movimento dei carri indicavano una ripresa, seppur faticosa. In questo contesto, Raffaella Duelli e suo marito si mossero con un obiettivo preciso: restituire un nome e una tomba a coloro che avevano perso la vita in battaglia.

Il loro compito era immenso e gravoso, reso ancora più difficile dalla scarsità di mezzi e dalla natura stessa del teatro di guerra. Raffaella Duelli, con la sua inestimabile dedizione, si affidò alle testimonianze e a rari schizzi dei luoghi di sepoltura forniti dai reduci del “Barbarigo” e di altri reparti. Questi frammenti di informazione le permisero di ricostruire le planimetrie di cimiteri provvisori e di bussare alle porte di masserie dove si vociferava che giacessero salme, spesso non contrassegnate neanche da una croce.
La Duelli trovò un inatteso alleato nel maggiore Seifert della Wehrmacht, che guidava un’organizzazione dedicata al recupero delle salme dei militari tedeschi caduti ad Anzio, con l’obiettivo di sistemarli in cimiteri tedeschi o restituirli alle famiglie in Germania. Questa collaborazione, seppur tra “ex-nemici”, evidenziava un comune desiderio di pietà e rispetto per i caduti. Il maggiore Seifert, con la sua esperienza e le sue informazioni, le confermò le difficoltà, rivelando come voci di contadini parlassero di tumuli scomparsi sotto il vomere dell’aratro e di cani che, raspando la terra, rinvenivano resti umani.

La realtà sul campo era spesso desolante. Il Canale Mussolini, tristemente, aveva inghiottito decine di corpi di coloro che erano scivolati nelle sue acque, rendendo impossibile il loro ritrovamento. A tante madri, l’ausiliaria Duelli e il suo team non riuscirono a dare una risposta, una verità difficile da accettare.

Raffaella Duelli estese le sue ricerche fino all’Abbazia di Valvisciolo, dove nella primavera del 1944 era stato allestito un ospedale da campo e dove molti soldati avevano trovato la morte. Il priore dell’abbazia le offrì il suo aiuto, permettendole un’indagine minuziosa in un luogo dove solo cumuli di terra, con qualche croce e nomi spesso illeggibili, indicavano le sepolture. Nonostante il terreno scosceso e la possibilità che le salme stessero scivolando verso la pianura, la Duelli sentì che lì, di fronte a quella Pianura Pontina che i soldati avevano difeso con tanta fatica, molti di essi avrebbero dovuto rimanere.

Il culmine di questo immane lavoro arrivò nell’aprile del 1949. Su un camion, accompagnati da una bandiera tricolore prestata dal Sindaco di Sermoneta, 32 cassette di zinco contenenti tutto ciò che era stato recuperato – resti di cassette di legno, frammenti di sacchi, e ovviamente, le ossa dei caduti – furono scortate dalla polizia stradale fino al Cimitero Campo Verano di Roma. Lì, in quella che sarebbe diventata la tomba del Barbarigo, trovarono finalmente una degna sepoltura.

Il lavoro di Raffaella Duelli fu difficile e doloroso, come testimoniato dalle sue stesse parole: “rivivere quelle emozioni: il volto pallidissimo del signor Cornuda, il padre di Franco, appoggiato allo stipite della nostra porta a Circonvallazione Appia: «.. mi aiuti, mi aiuti a ritrovare mio figlio … ».” Le sue ricerche erano un atto di pietà, che spesso implicava la misurazione di un femore o il riconoscimento di un frammento di biancheria cucito da una madre, per dare un nome a resti quasi irriconoscibili. Ritrovare quei legni ammassati, frugare tra ossa e capelli, misurare e pulire per cercare identità che il tempo tendeva a cancellare definitivamente.
A nove di questi resti, purtroppo, non fu possibile dare un nome, ma la Duelli conservò per loro, e per coloro che li avevano amati, piccole medagliette, brani indecifrabili di corrispondenza, stime di altezza e informazioni sulla dentatura. “Avrebbero ormai 70 anni, come noi, ma in quella tomba al Verano rimangono eterni giovinetti,” concluse Raffaella Duelli, con una commovente riflessione sul tempo e sul sacrificio.
In totale, Raffaella Duelli riuscì a raccogliere circa 200 salme di soldati italiani caduti nei combattimenti sulla testa di ponte di Anzio-Nettuno. La sua instancabile dedizione le valse, nel 2005, il Premio Luciano Cirri per l’impegno sociale, con la motivazione: “Per la pietà cristiana, la passione patriottica, il coraggio e la generosità dimostrate nell’opera volontariamente intrapresa di ricercare, ricomporre, identificare i miseri resti dei Caduti italiani e dar loro una degna e onorata sepoltura”.

La storia di Raffaella Duelli è un potente monito della resilienza umana di fronte alla tragedia e della forza della memoria. Il suo impegno non solo ha restituito dignità ai caduti, ma ha anche offerto un barlume di pace a innumerevoli famiglie, dimostrando che anche dopo la battaglia, la speranza e la pietà possono trionfare.