Nel 1948 i coloni iniziano ad acquistare le “Atala”, rigorosamente con la canna, per portare un passeggero.
Arriviamo al 1948. L’anno della definita ricostruzione, in tutti i sensi. Dalla: Vie en rose, che cantava Edith Piaf, alle iniziative per il popolo. E’ l’anno della entrata in vigore della Costituzione italiana per un nuovo paese democratico. L’anno delle nuove idee tanto che si studiano iniziative per agevolare subito l’economia. A Novembre il Senato della Repubblica apre la seduta per studiare il Disegno di legge: “ Stato di prevenzione della spesa del Ministero dell’Agricoltura e Foreste per il prossimo biennio”. Ma si pensa anche ad applicare una nuova tassa sui prodotti che contengono alcool. –
E al Villaggio? Eccoci, arriviamo. Molte novità nel fine Ottobre. I coloni di Via Gloria, Carrara e Piscinara (sempre con l’ambasciatore del camioncino del latte), in pratica quelli dell’Università agraria di Sermoneta cercano di aiutarsi a vicenda per non essere da meno di quelli di Caetani, Scatafassi e Rosazza. Iniziano a scambiarsi gli attrezzi per il lavoro agricolo e comprano le prime biciclette, quasi tutte da uomo: quelle con la canna, per portare eventualmente un secondo “passeggero”. Marca preferita: Atala, la più economica rispetto a Legnano e Bianchi. Intanto “dai racconti di nonna Stella” emerge un personaggio fondamentale per la vita quotidiana: il calzolaio. E qui torniamo alle origini: all’estrazione sermonetana dei coloni del territorio già descritto. Ebbene, ecco che ogni lunedì Giovagnozzo Stivali scendeva, da Sermoneta, per le misure delle scarpe da fare artigianalmente. Era quasi sempre una rimpatriata per tutti. –
Ma iniziano anche i primi sintomi di una “malattia da stalla” : l’eczema! Veniva prodotta dallo strofinamento del collo del contadino, con la vacca (ancora non veniva chiamata più elegantemente Mucca!), nell’atto della mungitura. E allora tutti di corsa, in treno, all’Ospedale specializzato San Gallicano di Roma (fondato nel 1725) per visita e terapie da fare a casa. – Per i divertimenti e tempo libero, invece, ancora nulla di fatto per l’ormai famosa partita tra scapoli e ammogliati: mancava sempre il terreno adatto (ma i tempi sono maturi e lo vedremo in seguito). Intanto si comincia a leggere in quasi tutte le case (mia nonna no, non lo sapeva fare!). Oltre a qualche copia de Il Messaggero era tradizione, dove c’erano ragazze, acquistare il settimanale Grand’ Hotel alla cifra di 12 lire. Nella rivista fotoromanzi (all’epoca non foto ma disegni) e notizie dei Vip del periodo. E per la musica? Tanto brodo in pentola: canzoni alla “aradio” e sul vinile. Le più ascoltate erano: O Mamma Mamma cantata da Nilla Pizzi, La Mer di Charles Trenet, L’Ultima Noche di Bruno Pallesi e I Pompieri di Viggiù di Clara Jaione. Ma la ciliegina sulla torta, la canzone simbolo che ancora oggi viene arrangiata dai più grandi talenti del canto era: La vie en rose di Edith Piaf. La magistrale versione italiana ad opera di Carlo Buti.